CINQUE

Prima l'aveva stordita col taser, poi le aveva infilato un fazzoletto in bocca per evitare che urlasse e alla fine l'aveva ammanettata alla sedia davanti al computer.
Quando Giovanna riprese i sensi e ricominciò a mettere a fuoco le figure confuse che aveva davanti agli occhi vide la figura incappucciata seduta accanto a lei.
Provò a strillare, si rese conto della stoffa che le arrivava quasi in gola e si sentì soffocare. La figura incappucciata le prese delicatamente la testa tra le mani. Lei sentì il ruvido dei guanti di gomma sulla pelle.
«Adesso ti tolgo il bavaglio, così puoi respirare e dirmi quello che mi serve. Ma se provi a gridare ti ammazzo subito e buonanotte, intesi?»
Giovanna fece segno di sì con la testa. La figura incappucciata le strappò via il fazzoletto dalla bocca. Lei ebbe una specie di conato.
«Allora, mi servono il tuo nome utente e la tua password di Google. Adesso».
«Ma perché...»
Giovanna vide il pugno che si alzava e la mano che si apriva durante la traiettoria fino alla sua faccia, poi sentì il collo che si spostava all'indietro, fin dove lo consentiva la spalliera della sedia, e il dolore che le si irradiava nella schiena e sotto lo zigomo.
«Chiariamo una cosa: non ti ho chiesto di dirmi ma, o bi o ba. Ti ho chiesto quei cazzo di username e password».
Giovanna tossì un paio di volte e ruotò la testa come per assicurarsi di averla ancora sul collo.
«Swe... SweetGiovy...»
«Bene, vedo che ragioniamo. Ora la password».
«...lapassworddigiovanna02...»
La figura incappucciata la afferrò per i capelli, le tirò su la testa e le ficcò di nuovo il fazzoletto in bocca. Giovanna provò ad emettere qualche suono, ma il respiro le mancò un'altra volta. Strillare era perfettamente inutile.
«Ti avverto: morire soffocati non è una passeggiata. Al posto tuo me ne starei calma e buona finché non ho finito».
Lei annuì di nuovo, cercando disperatamente di calmarsi. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma magari se non avesse creato problemi tutto sarebbe finito in pochi minuti.
La figura incappucciata inserì i dati nella maschera di login, cliccò sul pulsante “Sign in” e le apparve una foto in bianco e nero di Giovanna che guardava un punto indefinito oltre l'obiettivo.
Riflettè distrattamente sul fatto che nelle foto su internet tutti sembrano più belli di quanto non siano nella realtà. Prese un bel respiro, si alzò, si chinò sul borsone appoggiato per terra, ne estrasse il martello e tornò davanti al computer.
«Tieni duro, amica mia, adesso manca davvero poco».
Giovanna sgranò gli occhi e cacciò un urlo soffocato nel fazzoletto.
La figura incappucciata colpì. Una volta. Due. Tre. Alla quarta martellata la sedia si ribaltò all'indietro e cadde per terra. Giovanna ormai emetteva soltanto un rantolo leggero, come un soffio che si riusciva a malapena a sentire.
La figura incappucciata si chinò e continuò a colpire finché il respiro non cessò del tutto. Poi si rialzò, si voltò verso il computer e digitò l'indirizzo del blog.
Cliccò sul fumetto dei commenti dell'ultimo post e ci scrisse dentro.
2 – 6 – 15 - 67 - 4
6 – 9 – 9 - 1 – 18
3 – 11 – 24 – 47 – 2
Confermò, aspettò che l'operazione andasse a buon fine ed emise un sospiro di soddisfazione.
In quel momento qualcuno suonò alla porta.

Piero si sentiva un po' idiota, con i fiori in una mano e la bottiglia di vermentino nell'altra. Era una pazzia. Conoscere una su Skype e andare a cena da lei senza neanche averla vista in fotografia. Tranne quella del profilo di Google, ovviamente. Ma a lei non lo aveva detto, di averla guardata. Anche se probabilmente lo immaginava. Aspettò con un certo nervosismo che Giovanna venisse ad aprire e dopo una trentina di secondi suonò di nuovo. Niente. Da dentro nessun rumore. Forse lei ci aveva ripensato e se n'era andata per evitare di incontrarlo. Oppure era dentro e non aveva il coraggio di aprirgli. La faccenda stava prendendo una brutta piega. Piero aspettò ancora qualche secondo e suonò il campanello per la terza volta. Magari gli aveva dato un indirizzo qualsiasi per fargli uno scherzo e adesso era chissà dove con gli amici a scompisciarsi dalle risate. Cominciò a sentire l'imbarazzo che gli risaliva sul viso in una vampata di calore, come quella volta, al liceo, che aveva provato a baciare la ragazza della classe di fronte e lei gli aveva riso in faccia. I suoi compagni l'avevano guardato con un misto di canzonatura e commiserazione per settimane, e lui ci aveva messo qualche anno a dimenticare il senso di vergogna che gli aveva annodato lo stomaco. Dopo vent'anni, eccolo che tornava.
Per fortuna al portone aveva incontrato quella signora gentile che l'aveva fatto entrare senza citofonare, altrimenti la figura di merda sarebbe andata in scena proprio in mezzo alla strada, davanti a tutti. Un cazzone con un mazzo di fiori e nessuno che gli apriva. Uno sfigato bello e buono, come sempre.
Suonare ancora non sarebbe servito a niente.
Prese il mazzo di fiori e lo ficcò a forza dentro la busta di plastica dove c'era il vino, sperando di riuscire ad arrivare alla macchina senza che nessuno si accorgesse di quello che c'era dentro.
Poi si girò, abbassò la testa e se ne tornò da dov'era venuto.

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