QUATTRO

Qualche mese prima aveva iniziato a seguire i movimenti di Donato, un integralista cattolico noto per le sue vibranti polemiche in rete sull'aborto, l'eutanasia e l'omosessualità: sentiva che in un modo o nell'altro avrebbe dovuto farlo entrare nella storia, anche se in quel momento ancora non sapeva come.
A quanto pare tutto quel lavoro stava per dare i suoi frutti.
Il martedì era il giorno del seminario sulla lettura tradizionale della bibbia: Donato era uno dei relatori e non lo saltava mai, per nessuna ragione al mondo.
Compresi gli spostamenti, la cosa lo teneva lontano da casa per tre ore buone. Un lasso di tempo più che sufficiente per tentare quello che aveva in mente di fare.
Nella palazzina non c'era il portiere. Dopo un'attesa di una ventina di minuti riuscì a infilarsi nel portone seguendo il postino, che come tutte le mattine si era fatto aprire da qualcuno al citofono per distribuire la corrispondenza nelle cassette della posta.
Salì le scale a piedi fino all'ultimo piano, si guardò intorno e prese la rampa più stretta che portava al sottotetto. La soffitta in cui viveva Donato era là: lo sapeva perché era anche la sede della sua associazione ultracattolica, indicata sul sito internet e più volte citata nel forum di discussione, in cui i partecipanti rievocavano spesso e volentieri le riunioni del gruppo.
Si infilò i guanti e tirò fuori dal borsone i grimaldelli: era arrivato il momento di verificare l'utilità di tutti gli esercizi fatti a casa col lockpicking.

Lorenzo si svegliò con un mal di testa furibondo. Quello che era successo in quei giorni l'aveva scombussolato, naturalmente, ma non era tutto. La sera prima, dopo un numero imprecisato di birre al baretto, lui e Federica si erano baciati. Una volta. E un'altra. Poi il resto era venuto da solo.
Si guardò intorno, socchiudendo gli occhi per attenuare la luce che entrava dalle persiane, e si rese conto di aver dormito a casa di lei. Era giorno fatto e Federica doveva essere già uscita da un pezzo: aveva un aereo alle sette e mezza per un servizio fotografico importante a Palermo. Controllò l'orologio: le nove. Già in ritardo per il tribunale, impossibile passare a casa a cambiarsi: gli sarebbe toccato indossare gli stessi vestiti del giorno prima.
Si alzò, avvertendo un vago senso di nausea alla bocca dello stomaco (quante birre aveva bevuto? Sei? Sette?) e iniziò a camminare scalzo verso il bagno. Mentre apriva l'acqua della doccia si chiese come si sentisse in quel momento la sua migliore amica. E soprattutto si domandò se Federica fosse ancora un'amica, o se dopo quella notte fosse diventata qualcosa di più.

Ci mise una ventina di minuti buoni per far scattare tutti i pistoncini della serratura senza romperla: con uno scasso la cosa non avrebbe funzionato.
Aprì la porta senza fare rumore ed entrò in casa. L'appartamento era buio e spartano, con pochi mobili da quattro soldi e una quantità di immagini sacre appese alle pareti. Si guardò rapidamente intorno: a destra un soggiornino con un angolo cottura, a sinistra un corridoio, più avanti un piccolo bagno. In fondo al corridoio trovò la camera da letto.
Aprì l'armadio nell'angolo in fondo alla stanza e ci guardò dentro per trovare la collocazione migliore. Poi frugò nel borsone, ne estrasse una bustina della spesa annodata con dentro qualcosa e la infilò in alto, tra due coperte, cercando di spingerla bene in fondo.
Richiuse l'armadio, percorse silenziosamente il corridoio, uscì dalla porta e la richiuse tirandosela dietro. Poi provò a riaprirla, ma la serratura l'aveva di nuovo bloccata. Perfetto.
Scese le scale con molta attenzione, fermandosi a metà della rampa tra il secondo e il primo piano per evitare di imbattersi in un tizio che stava uscendo di casa.
Fino al portone non incontrò nessuno. Aprì, uscì e si guardò intorno. La strada periferica era semideserta, eccezion fatta per una vecchia signora che portava a spasso il cane un centinaio di metri più in là. Liscio come l'olio, come dicevano nei film.
Iniziò a camminare per raggiungere la macchina parcheggiata a tre chilometri di distanza, assaporando il gusto del rischio e ripassando mentalmente il meccanismo per l'ennesima volta.
Donato avrebbe trovato la porta chiusa senza mandate. Magari ci avrebbe fatto caso, magari no. Forse avrebbe pensato di essersi dimenticato di chiuderla e avrebbe derubricato la cosa. Probabilmente se ne sarebbe ricordato mentre lo arrestavano. A quel punto lo avrebbe detto alla polizia, ma nessuno gli avrebbe creduto.
Non dopo aver trovato il rasoio con sangue di ZorroWeb dentro il suo armadio.

Uscì di casa tirandosi dietro la porta e una volta in strada cercò di ricordare dove avesse parcheggiato la macchina. Impiegò una decina di minuti buoni per trovarla. Quando finalmente ci riuscì notò la multa sotto al tergicristallo. Sosta sul marciapiede. Del resto la sera prima non aveva idea di doverla lasciare là fino al mattino.
Entrò in macchina e fece per infilare la chiave. Poi si fermò, tirò fuori il cellulare e scrisse un sms al numero di Federica:
«Come stai?»
Mise in moto, fece inversione di marcia e si diresse verso il lungotevere. Quando si fermò al semaforo sentì il beep del telefonino. Era lei.
«Sto bene. Bellissimo. E ‘sti cazzi del resto. :-) Ci sentiamo stasera quando torno?»
Lorenzo si accorse di aver sorriso. Il verde scattò. Lui ingranò la prima e partì.

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