SETTE
Sentì la prima goccia sulla pelle, alzò gli occhi per guardare il cielo e si accorse che era nero come la pece.
Intorno a lui la campagna si estendeva a perdita d'occhio in tutte le direzioni: se fosse venuto a piovere non avrebbe avuto un posto sotto cui ripararsi. Tranne quell'albero, laggiù.
Le gocce diventarono due, quattro, otto, poi si moltiplicarono e si fecero più grosse.
Iniziò a correre, nella strana luminescenza grigia che sembrava aver avvolto tutto il paesaggio.
Diluviava, ora. La pioggia era diventata pesante e gli picchiava sulle spalle, gli appiccicava la camicia addosso, gli sgorgava a rivoli sulla fronte, gli inzuppava i calzini dentro le scarpe.
Quando arrivò sotto l'albero era senza fiato, come se avesse fatto quella corsa sott'acqua, in apnea.
Seduta ai piedi del tronco c'era una bambina. Aveva addosso un vestitino bianco e ai piedi due scarpine di vernice nera. Sembrava completamente asciutta. Aveva la testa piegata in avanti, tra le gambe, e canticchiava qualcosa tra sé e sé, come se non si fosse accorta del suo arrivo.
«Stella stellina
la notte s'avvicina
la fiamma traballa
la mucca è nella stalla...»
Lorenzo si avvicinò.
«Ehi, bimba...»
Lei continuò a cantare, alzando il tono della voce.
«...la mucca e il vitello
la pecora e l’agnello
la chioccia coi pulcini
la gatta coi gattini...»
Lorenzo fece ancora un passo verso di lei. La pioggia era cessata improvvisamente. Si guardò addosso e scoprì di essere asciutto. La cantilena della bambina era diventata un grido.
«La capra ha il suo capretto
la mamma ha il suo bimbetto.
Ognuno ha la sua mamma
e tutti fan la nannaaaaaaaaaaaaa».
Poi la bambina alzò la testa, di scatto, e Lorenzo si accorsa che al posto della faccia aveva una maschera di porcellana rosa, con i rossi disegnati sulle guance, e due pietre verdi al posto degli occhi. Solo la bocca sembrava di carne.
Lui sentì che il sangue gli si gelava nelle vene. Barcollò, tenendosi a stento in piedi sulle ginocchia che gli tremavano.
Poi la bocca si mosse e la bambina parlò.
«E' colpa tua».
«Ti sbagli. Non è colpa mia. Io non c'entro».
«Pensi che sia finita qua? No, che non è finita».
«Invece sì. E' finita. E' tutto finito».
«Vigliacco».
«Ti prego, io non ho fatto niente, ti prego...»
«Vigliaccoooooooooooooooooooooooo».
Il grido era diventano stridulo e penetrante come una sirena. Lorenzo si coprì le orecchie con le mani, ma il suono sembrava entrargli direttamente nel cervello. Iniziò a urlare anche lui, più forte che poteva.
Poi il grido si fece insopportabile e la bambina esplose, con un curioso suono sordo e soffocato, come di un sacco pieno di stracci che casca dalla finestra. Improvvisamente il silenzio diventò assoluto.
Lorenzo era in ginocchio.
Sentì una sensazione di bagnato addosso, su tutto il corpo. Abbassò la testa, si guardò la camicia.
Era inzuppata di sangue.
Non si svegliò di soprassalto come succede nei film. Uscì dal sogno lentamente, come risalendo da un'immersione. Nella penombra vide la sagoma di Federica che dormiva, accanto a lui. Poi sentì l'umido cuscino: sognando doveva aver pianto.
Non è finita, aveva detto la bambina.
Non è finita.
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